Giorgio Rocca, dieci anni da signore della 3Tre
Giorgio Rocca, dieci anni da signore della 3Tre
“Il Canalone non si batte. Italia, occhio a Razzoli!”
Il Campione di Livigno festeggia il decennale del suo successo più bello: “Il pubblico si sta allontanando dallo sci, ma che bella eccezione la 3Tre"
Lunedì 12 Dicembre 2005, a Madonna di Campiglio si disputa lo slalom notturno della 3Tre. Sulla bocca di tutti c’è un solo nome: Giorgio Rocca. L’italiano si è imposto nel primo slalom stagionale, a Beaver Creek, appena otto giorni prima, mostrando una sicurezza e una centralità impressionanti. Campiglio aspetta un successo italiano da dieci anni, dall’ultimo centro targato Alberto Tomba.
Sotto la neve di Campiglio, il campione di Livigno non tradisce. Terzo dopo la prima manche, Rocca sfodera una seconda prova impressionante, costringendo alla resa Kalle Palander e l’eterno rivale Benni Raich, rispettivamente terzo e secondo sul podio finale. Dieci anni dopo, Giorgio Rocca ricorda quel giorno, e offre il suo punto di vista sullo sci, e su cosa è cambiato nel Circo Bianco in questo decennio.
Giorgio, lo hai sempre detto: nella mia carriera ho avuto successi e soddisfazioni, ma il trionfo alla 3Tre li batte tutti. Orgoglio italiano o c’è qualcosa in più?
L’una e l’altra cosa. Il Canalone Miramonti comunica qualcosa di indescrivibile per un atleta italiano. In pista si sente il pubblico davvero vicino – fisicamente vicino, – compatto, trepidante. E’ un pubblico che ti domanda di vincere per loro, per tutti. Farlo esplodere nel boato di quel 12 Dicembre è qualcosa che mi resterà sempre dentro. Quello che la 3Tre rappresenta per noi italiani non è replicabile in nessuna altra pista o Paese.
Dieci anni da quel successo ad oggi. Che cosa è cambiato nel mondo dello sci?
Sul piano tecnico, forse non moltissimo. Purtroppo si respira un allontanamento delle persone e della TV dallo sci di alto livello. In Italia ci sono tanti praticanti, ma sono emotivamente lontani dal mondo dell’agonismo: oggi solo i veri appassionati conoscono gli atleti di punta della nostra nazionale. Ci vuole qualcosa in più di una spolverata di social qui e là per entrare nelle case della gente.
Con dieci anni in meno, Giorgio Rocca vincerebbe ancora contro i campioni di oggi?
Con il fisico e l’allenamento di dieci anni fa, e per la voglia che ancora ho di sciare e di vincere, penso davvero che me la giocherei. Sul piano tecnico, sicuramente avrei dovuto affrontare qualche aggiustamento tecnico: gente come Hirscher e Ligety ha cambiato l’approccio alle discipline tecniche negli ultimi anni. In fin dei conti, però, si tratta sempre di raggiungere il limite, magari di superarlo, ma sempre nel controllo dei propri mezzi: non basta toccare i picchi di velocità più alti nelle prime dieci porte se salti all’undicesima. Essere campioni è un’altra cosa.
Cosa ci vuole per conquistare la 3Tre?
Bisogna inventare un capolavoro lungo due manches. E’ un pendio ripido, impegnativo, e soprattutto è una prova breve: non c’è tempo per recuperare un errore, o una partenza troppo tranquilla.
Gli specialisti dei pali snodati arriveranno a Campiglio con una sola gara nelle gambe, quella di ogg a Val d’Isere. Quanto è importante la prova francese?
Sarà la gara che proverà la temperatura a tutti: prima della prima manche, nessuno conosce realmente il livello con cui è uscito dai mesi estivi in questa disciplina. Anche per la 3Tre si tratta di un banco di prova molto interessante: come il Canalone Miramonti, la Face de Bellevarde è molto ripida e tecnica, anche se più lunga.
Parlando della nazionale italiana, e guardando le carte d’identità, sembra che ci sia un problema di ricambio generazionale…
E non capisco perché. Abbiamo un movimento di base davvero forte, ma sembra che a tanti ragazzi manchi sempre qualcosa per arrivare in cima. Vero è che la concorrenza è altissima, e stanno arrivando anche tanti Paesi che una volta erano fuori dalle mappe dello sci d’elite. Se posso dire la mia, penso che in molti casi si tratti di un problema di approccio mentale: per vincere bisogna essere convinti di poter arrivare.
L’esperienza di un atleta vincente, in questo senso, ha un peso rilevante. Hai mai pensato a un percorso come tecnico?
Sul piano personale, mi piacerebbe tantissimo. Ma non so dire se sarei un bravo tecnico: so quanto fossi esigente con me stesso. Forse finirei a credere nei miei atleti più di loro stessi, e questo sul lungo periodo potrebbe creare antipatie e diffidenze. Un tecnico con un trascorso da atleta vincente potrebbe essere ricevuto con più rispetto, ma anche questa è un’arma a doppio taglio: tanti potrebbero viverti come un esempio troppo distante.
Ed è così?
Parliamoci chiaro: io non ero un fenomeno fisicamente. Io sono uno che si è fatto il mazzo, che si è svegliato per anni con un solo tarlo in testa, che ha creduto e investito in sé stesso. Credo che a tanti ragazzi, anche della nostra nazionale, possa mancare davvero poco per il salto di qualità: ma se non sono loro i primi a crederci…
Oggi ti dedichi anima e corpo alla tua Giorgio Rocca Ski Academy. Quale lezione dei tuoi 15 anni in Coppa del Mondo trasmetti ai tuoi allievi?
Cerco di comunicare loro la passione per lo sci, fin nelle più piccole cose, di far loro capire quanto fortunati siano a poter vivere quest’esperienza. Li spingo a cercare di migliorare la tecnica, certo, ma soprattutto di gustare tutto dello sci: lo sci è danza, è musica, e deve farti godere. Devi scendere dagli sci e pensare: “Oggi ho imparato qualcosa, mi sono divertito.”
Perché un appassionato dovrebbe venire ad assistere alla 3Tre sul Canalone Miramonti?
Perché chi l’ha vista solo in TV non sa che cosa significhi davvero. Perché solo a bordo pista assaggi quella passione, il graffio degli sci sulla neve, il suono ritmico dei pali abbattuti, la sensazione irreale di migliaia di persone con il fiato sospeso. Solo lo sport è capace di darti tutto questo: è un’emozione che tutti, appassionati e non, dovrebbero provare.
Infine, domanda di rito: chi vince la 3Tre il 22 Dicembre?
Vince chi sbaglia meno, chi riesce a sciare per due manche sempre vicino al 100%. O persino oltre.
Vogliamo un nome
Te ne do tre. Marcel Hirscher, Felix Neureuther, e ci metto anche Giuliano Razzoli: l’ho visto in allenamento, sembra tornato l’atleta che era. E sono davvero contento per lui.