Val Rendena: il dottor Renzo Tomasini ci ha lasciato
Mercoledì mattina, 29 ottobre, sfogliando il TRENTINO sono stato attratto da un viso noto, familiare alla gente di Rendena. Era la foto del dottor Renzo Tomasini, incontrata in un necrologio che ne annunciava la scomparsa. Lo conobbi tanti anni fa, presentatomi dal fratello don Giulio, illustre linguista, quando mi propose di compilare una serie di schede sul dialetto di questa valle. Lo avvertii come una persona originale, di quelli da prendere con le pinze, dal carattere difficile, sui generis, ma molto disponibile ad aiutare quanti si interessavano alla storia e alle tradizioni di questi luoghi, cui era molto attaccato. In comune con lui avevo il professor Carlo Tagliavini, docente di glottologia a Padova, del quale allora stavo seguendo i corsi. Renzo Tomasini si era laureato sotto la sua guida nell’anno accademico 1948/49 con la tesi “Contributo alla conoscenza del dialetto di Val Rendena (saggio grammaticale e raccolta lessicale)”. Ad essa aveva aggiunto “a guisa di appendice” una raccolta del “tarón” rendenese, il gergo degli arrotini, effettuata nel 1946 da suo fratello don Giulio. Argomento quest’ultimo anche di una tesi coeva, discussa nel 1948 sempre con Tagliavini, dal compianto dottor Angelo Franchini, altro indimenticabile appassionato studioso della nostra cultura valligiana, recuperata nelle espressioni (tarón e rendenglese) degli arrotini in giro per il mondo. Nel 1990 Renzo Tomasini, rivisitata la sua tesi con l’approfondimento di alcune tematiche, diede alle stampe “Il dialetto della Val Rendena” nello splendido volume edito dal Museo degli usi e costumi di San Michele: un saggio che rappresenta una pietra miliare per chi ama il dialetto di questa zona. Il lavoro purtroppo lo ha costretto a vivere lontano dalla sua valle, ma ogni volta che ci capitava di incontrarlo quassù si avvertiva quanto fosse affezionato a questi luoghi. Un po’ chiuso e ritirato, non amava comparire. Della sua scomparsa ci siamo accorti per caso. Ma in tempo per ricordare la sua figura, quella di un uomo generoso, che ha sempre dato, senza chiedere mai nulla per sé, di uno studioso serio e competente che ci ha lasciato in eredità un dono prezioso e stimolante, da far fruttare. La sua presenza era poco avvertita quassù, ma sapevamo che c’era; e questo ci bastava. Oggi che se ne andato, tutti ci sentiamo più poveri, abbiamo perso un punto di riferimento.