Sísifo o il mito di caricarsi
La ideologia dominante vorrebbe identificarci e farci vivere alla maniera di Sísifo, personaggio della mitologia greca che fu condannato dagli dei a portare una pietra pesantissima sulla cima di una montagna. Ogni volta che stava sul punto di raggiungere la vetta, la pietra cadeva ed era costretto a ricominciare di nuovo.
Sísifo è stato il mito utilizzato per rappresentare lo sforzo inutile, la mansione versata all’insuccesso, il lavoro privo di senso.
Ciò che non riconosce l’ideologia dominante e che sovente siamo portati a dimenticare è che Sísifo sorrideva mentre caricava la pietra. Non portava la pietra alla montagna mosso dal castigo ma dal suo amore per l’impegno, per la montagna e per il sole al crepuscolo che contemplava ogni giorno con gli occhi inumiditi dal sudore e dalle lacrime. Nonostante lo sforzo, Sísifo era capace di emozionarsi ogni sera di fronte alla bellezza di qualche nuvola alla quale il sole cedeva il suo colorito.
Il postmoderno, la persona “lieve” di oggi, è intellettuale, volitiva ed emozionalmente incapace di comprendere Sísifo, di vedere lo sforzo non come una passione inutile ma l’inutilità di una esistenza mancante di qualsiasi passione. Le più elevate speculazioni, le riflessioni più profonde, le parole più sublimi non valgono quanto il più piccolo passo reale di un essere umano che sale e scende lungo il pendio della vita. Il passo è sempre un gesto corporale che implica tutto il corpo, in tal senso è qualcosa di autentico, reale.
Prendiamo coscienza che il passo senza peso è impossibile. Nonostante ciò, questo “peso” non è un carico ma qualcosa di cui posso farmi carico. Sísifo ci sta dicendo: “Il mondo non è un carico per me bensì il mondo sta a mio carico”. Quando riesco ad ascoltare il palpitare sereno di un cuore, a ricominciare, una volta ancora, la salita della pietra verso la cima, posso apprendere che la mia opportunità basica, che l’essenza della mia libertà più profonda non radica nello slegare la pietra ma nella capacità con la quale aiuto a sollevare il peso e nella mia disposizione a iniziare un’altra volta, a salire nuovamente.
Sísifo è stato il mito utilizzato per rappresentare lo sforzo inutile, la mansione versata all’insuccesso, il lavoro privo di senso.
Ciò che non riconosce l’ideologia dominante e che sovente siamo portati a dimenticare è che Sísifo sorrideva mentre caricava la pietra. Non portava la pietra alla montagna mosso dal castigo ma dal suo amore per l’impegno, per la montagna e per il sole al crepuscolo che contemplava ogni giorno con gli occhi inumiditi dal sudore e dalle lacrime. Nonostante lo sforzo, Sísifo era capace di emozionarsi ogni sera di fronte alla bellezza di qualche nuvola alla quale il sole cedeva il suo colorito.
Il postmoderno, la persona “lieve” di oggi, è intellettuale, volitiva ed emozionalmente incapace di comprendere Sísifo, di vedere lo sforzo non come una passione inutile ma l’inutilità di una esistenza mancante di qualsiasi passione. Le più elevate speculazioni, le riflessioni più profonde, le parole più sublimi non valgono quanto il più piccolo passo reale di un essere umano che sale e scende lungo il pendio della vita. Il passo è sempre un gesto corporale che implica tutto il corpo, in tal senso è qualcosa di autentico, reale.
Prendiamo coscienza che il passo senza peso è impossibile. Nonostante ciò, questo “peso” non è un carico ma qualcosa di cui posso farmi carico. Sísifo ci sta dicendo: “Il mondo non è un carico per me bensì il mondo sta a mio carico”. Quando riesco ad ascoltare il palpitare sereno di un cuore, a ricominciare, una volta ancora, la salita della pietra verso la cima, posso apprendere che la mia opportunità basica, che l’essenza della mia libertà più profonda non radica nello slegare la pietra ma nella capacità con la quale aiuto a sollevare il peso e nella mia disposizione a iniziare un’altra volta, a salire nuovamente.