Al me cagn: l’amico dell’uomo da sempre
Al me cagn: l’amico dell’uomo da sempre
Poesia in dialetto di Sergio Bonapace, letta da Antonio Caola
Da qualche anno sembra si sia accentuata la presenza dei cani da compagnia in giro per paesi e città. Sembrano dei signorotti, trattati con tanto affetto, che chi non condivide la stessa passione, ritiene esagerato. Forse il distanziamento fra le persone, anche della stessa famiglia, ha fatto sì che questo animale super-domestico debba svolgere la funzione di supplente reale di mancate “coccole” con gli altri umani, non presenti nella quotidianità, a volte amici solo virtuali, sempre frettolosi e disattenti ai bisogni affettivi. Sergio Bonapace, anche poeta e pittore, oltreché ingegnere, è stato un uomo di particolare sensibilità, di grande ricchezza interiore, che forse la timidezza, o meglio la riservatezza non gli hanno consentito di essere compreso e apprezzato come avrebbe meritato. E amava molto anche il suo cane, a cui ha dedicato questa poesia, dove traspare, da un’attenta descrizione del fisico e dei comportamenti, tutta l’affezione e la considerazione per l’animale amico, la cui scomparsa è descritta con apparente distacco e forse più con rassegnato disincanto.
Nella rappresentazione grafica del cane la pittrice Monica Valentini sembra aver colto i sentimenti del poeta e averli immessi nell’espressione degli occhi e nella posizione del setter che sembra attendere un richiamo o una carezza.
La voce di Antonio Caola Isador (Toni da l’oiu) registrata nello studio di Gianni Beordo nel 1999, ce la propone con quell’espressività che rivela empatia con l’autore (morto nel giugno del 1996) e sensibilità, uniti al suo amore per il nostro dialetto.
Nel libro “Radìs”, edito dal Circolo Culturale “Il Faggio”, sul quale ogni poesia dialettale è illustrata da una rappresentazione grafica a matita o carboncino di un artista locale, è inserito un CD con la recita di alcune delle poesie, composte da vari autori rendenesi.
Al me cagn di Sergio Bonapace
“Clicca sulla freccia per ascoltare”
Dü oc’ negri, n nas schicià,
do röci longhi, üna da qua üna da là.
L’é di pil rus, e nu l’é gna tant gros,
al gà n cuin cort cort,
e l lu tegn sempru mos.
Qualchi bota, par spavantar vargügn
al fa na grinta, ca l mi par in liùn.
Ogni pas ca fu, al m’é sempru tacà,
al cor intornu, e l safta da qua e da là.
Quanca rivu a casa l’é tüt in taramot
quanca caminu al si tra giü come n fagot.
A der la verità n cagn par nar a cacia l saria
ma me l tegnu pü chi tüt par cumpagnia.
Ga n’iva n’aftru cagn come cust chi,
ma n brüt dì al m’é sparì.
Ma l’ài rubà? Ma l’ài cupà?
Nu l so!
Vargügn di catif al mondu l gh’é.
Speru apena ca cust ca gò ades
al mi döra amù n gran pez.