C’ERA UNA VOLTA…. LE FOLE DI NONNA VITTORINA
C’ERA UNA VOLTA…. LE FOLE DI NONNA VITTORINA
Vittorina Maturi in Lorenzetti, classe 1932, ha raccolto in questi ultimi anni dei racconti e delle fiabe narrate durante I filò negli anni della sua giovinezza. Le proponiamo così come le ha descritte Vittorina, attraverso il suo vivo ricordo di quelle lontane serate svolte nelle stalle. Ogni settimana proponiamo ai lettori una di queste inedite “Fole”… perchè non vengano dimenticate… c’era una volta…
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Vittorina Maturi nata a Pinzolo il 26 Maggio 1932, giorno del Corpus Domini. Pioniera del commercio di Pinzolo, infatti, aprì il suo negozio “Mamme e bimbi”, in via Marconi il 14 Aprile del 1962 che oggi viene portato avanti dalla figlia Aldina. Mamma di 5 figli, nonna di 9 nipoti e bisnonna di 9 pronipoti, alla veneranda età di 88 anni ha voluto rivivere con noi racconti che altrimenti verrebbero perduti nel tempo.
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Alcune di queste “fole” non hanno nessun senso e nemmeno morale. Erano raccontate da nonne, qualche zia o zitella, nelle giornate invernali e nevose nelle stalle per tenere tranquilli i bambini, che stessero al caldo e non andassero a bagnarsi sotto la neve. Il sottofondo di questo silenzio era interrotto dai rumori e dalle voci che provenivano dalla strada.
Si sentivano i carrettieri che urlavano facendo lavorare i loro cavalli o muli (che erano in “cubbia”) che tiravano lo slittone a triangolo carico di sassi perche aderisse alla strada, loro li incitavano con parole e con la “scuria” (scudiscio) per dar loro forza. Le strade erano strette, la neve tanta e pesante. Fra questi uomini c’erano anche dei giovanotti, erano tutti “intabarrati” con mantelle, cappellacci e “sgalbare” con le “brocche a zapa” perchè non si consumasse il legno, lavoravano anche tutta la notte con le lanterne perchè non c’era nessuna illuminazione nelle strade secondarie e nemmeno nel paese. Era proibito in tempo di guerra, c’era l’oscuramento per paura che Pippo buttasse le bombe. Questi uomini tornavano fradici al mattino, dopo una nottata di neve e acqua si ammalavano. Lo sgombro della neve era fatto da queste persone per tutta la valle fino a Madonna di Campiglio. Le nevicate erano copiose. Era un lavoro pesante per persone forti e sane, si sentivano anche delle bestemmie che erano quasi perdonabili. Per curarsi da queste strapazzate usavano come panacee il finocchio, le gemme di pino e il “largà” sulla carta oleata con camomilla, un impiastro che mettevano sulla schiena per le bronchiti. Non c’erano sciroppi e antibiotici. Fra questi bambini che ascoltavano con grande attenzione c’ero anche io e ho vissuto tutto questo con emozione e nostalgia. Sono frasi e ritornelli che mi sono rimasti nella mente e che a distanza di molti anni riesco ancora a ripetere, mi sembra di rivivere quei momenti poveri ma felici. Era tempo di guerra, avevo 7, 8, 10 anni.
Vittorina Maturi
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IL LUPO E LA BIANCHINA
In una casetta di campagna viveva una signora chiamata la Dora, a tenerle compagnia c’era una capretta, si chiamava Bianchina, era bianca e maculata sul rossiccio. Era carina e aveva due cornetti piccoli, lei pascolava nel praticello accanto alla casetta, che era tutto recintato da uno steccato di legno. La Bianchina ogni tanto si riposava sotto una pianta di ciliegio, che in primavera era tutto un fiore bianco, un batuffolo, per giugno diventava tutta rossa per le sue belle ciliegie, che la signora Dora trasformava in tanti vasetti di marmellata che vendeva al mercato. Trascorrevano il tempo facendosi una bella compagnia, una vita tranquilla. Un mercoledì Dora doveva andare al mercato, perchè voleva fare degli scambi, barattare le sue marmellate e le uova delle sue galline con delle tele per ricamare nei giorni di pioggia. Prima di uscire raccomandò alla sua cara Bianchina di non aprire la porticina a nessuno, perchè lei sarebbe tornata presto.
Nei dintorni c’era un lupo che vedendo uscire la Dora, si avvicinò allo steccato e spiando chiamò la Bianchina:
“Ciao, cosa fai tutta sola? Vieni andiamo a fare una passeggiata sul, lassù c’è della bella erbetta fresca!”.
“Non posso, devo ubbidire alla mia mamma (che era la Dora) e poi a dire il vero ho paura di te, tu vuoi mangiarmi!”.
“Ma scherzi – disse il lupo – io carne di capra se non è cotta e stracotta non la mangio”.
Lei tutta fiduciosa acconsentì, aprì la porticina e si incamminarono lungo il sentiero per salire sul monticello, brucando ogni tanto l’erbetta fresca con qualche fragolina. Pian pianino tutti allegri arrivarono sul colle ammirando il panorama. Ma questo gioco durò poco perchè il lupo le urlò:
“Cara Bianchina devi fare testamento perchè voglio mangiarti!”
Lei piangendo disperatamente lo implorò di risparmiarla ma lui era diventato cattivo e voleva divorarla, la costrinse a fare testamento, a urlarlo, perchè sentissero tutti gli animali che erano nel boschetto. Piangendo e urlando cominciò:
“Lascio le mie ossa ai cani…
la mia pelle al garbaro…
la mia carne al lupo…
i miei cornetti nel culo a chi mi ascolta…”
Il lupo le saltò addosso e la sbranò. La Dora tornata dal mercato trovò la porticina aperta e il praticello vuoto, molto pensierosa andò a cercarla, dopo tanto cercare trovò qualche brandello e ossa per i cani. Per lei fu un dolore enorme, era la sua compagnia, la sua Bianchina.
La morale per i bambini è ascoltare le raccomandazioni di chi ti vuole bene e metterle in pratica.
monticello
Fiaba di nonna Giuditta, sui Campicioi nel castagneto pascolando la sua pecora marrone.