Cerro Torre, una montagna più forte delle bugie
LO SPECCHIO – inserto del Quotidiano LA STAMPA (3 giugno 2006)
Natura Imprese contestate
CERRO TORRE
Una montagna più forte delle bugie
Cesare Maestri disse di averla conquistata nel 1959: Adesso ci sono le prove che ha mentito. Lui resta comunque uno dei più grandi scalatori: il mondo dell’alpinismo gli chiede un atto di coraggio. Dire la verità.
Di Stefano Ardito
Il vento del Cerro Torre soffia ancora . Stavolta, però, alla bufera che batte la più bella montagna della Patagonia si aggiunge una bufera mediatici che scuote il mondo dell’alpinismo e non solo. Articoli, libri, dossier, perfino ascensioni-inchiesta alla ricerca di chiodi e altre tracce di passaggio in parete sembravano dare un risultato univoco. Cesare Maestri ha mentito.
Non è stato lui a compiere la prima ascensione del Torre. Né nel ’59, quando ha detto di essere arrivato sui 3.128 metri della cima con l’austriaco Toni Egger, poi caduto in discesa. Né nel 1970, quando ha nuovamente affrontato la montagna con quattro amici trentini e un compressore Atlas Copco per piantare centinaia di chiodi a pressione.
Secondo le ultime rivelazioni, i veri conquistatori del Cerro Torre si chiamano Casimiro Ferrari, Mario Conti, Daniele Chiappa e Pino Negri, quattro alpinisti di Lecco. Sono arrivati in vetta nel gennaio 1974, superando gli strapiombi ghiacciati che guardano verso lo Hielo Continental e il Cile.
A questo punto si impone un passo indietro. Il Torre, nonostante la quota modesta, contende a poche altre vette il titolo di montagna più bella del mondo. Verso lo Hielo le sue rocce sono corazzate di ghiaccio, verso la Pampa una parete di mille metri è coronata dal fungo di ghiaccio della vetta. Gli alpinisti, da sempre, lo chiamano “l’urlo di pietra”.
Il Torre viene scoperto dopo le altre grandi montagne del mondo, e questo contribuisce l suo fascino. Viene tentato per la prima volta nel 1958, quando le conquiste dell’Everest e del K2 hanno allontanato gli occhi del pubblico dall’Himalaya. Avvicinarsi per prime sono una spedizione trentina, guidata da Maestri, e una lombarda che include Walter Bonatti e Carlo Mauri.
Quell’anno nessuno arriva in cima. I Trentini rinunciano al Torre per affrontare delle cime più mansuete, Bonatti e Mauri affrontano la parete Ovest, la risalgono per un tratto, poi scendono. Nel 1959 Cesare Maestri torna in Patagonia con intenzioni più bellicose. Raggiunge la base della montagna con l’alpinista tirolese Toni Egger, l’italo argentino Cesarino Fava e quattro studenti che fanno da portatori sul ghiacciaio.
Qui la storia si tinge di giallo. Sette giorni dopo aver attaccato la parete Nord del Torre, Maestri viene ritrovato da Fava sul ghiacciaio, ferito e mezzo sepolto dalla neve. Il “Ragno delle Dolomiti” racconta che lui e Egger hanno raggiunto la cima, sono scesi nella bufera, una valanga ha travolto l’austriaco sulla via del ritorno. L’alpinismo si basa sulla fiducia, e i due sono tra i più forti scalatori del mondo. La conquista del Torre entra nei libri di storia.
Undici anni più tardi anche Carlo Mauri torna al Torre con una spedizione dei Ragni di Lecco. Il tentativo fallisce, i Ragni completano la via quattro anni dopo. Ma intanto si è iniziato a mormorare. In una intervista del 1970 Mauri definisce la montagna “impossibile”. Il dubbio viene ripreso dal mensile Mountain e dal regista Leo Dickinson, che dedica il film The Cerro Torre Enigma all’interrogativo se la cima sia stata davvero raggiunta.
Qui c’è un secondo passo indietro da fare. Fin dall’epoca dei primi tentativi al Monte Bianco, il mondo dell’alpinismo ha delle difficoltà a rivelare gli imbrogli. “Certo, la montagna non è uno stadio. Ma bisogna imparare a discutere, pacatamente, di ciò che è stato fatto. I Club Alpini dovrebbero servire anche a questo”, spiega Giorgio Spreafico, caporedattore de la Provincia di Lecco e autore di un libro di prossima uscita sul Torre.
Nella storia dell’andar per montagne, i falsi sbugiardati si contano sulle dita di una mano. La conquista del Mc Kinley, la vetta più alta del Nordamerica, fu rivendicata da Frederick Cook nel 1906 e cancellata sette anni più tardi quando si scoprì che la foto “di vetta” era stata scattata duemila metri più in basso. Nel 1959 un dossier dell’alpinista bavarese Toni Hibieler e un processo hanno dimostrato che due svizzeri che avevano detto di aver salito la parete Nord dell’Eiger avevano attaccato la parete, erano ridiscesi di notte, erano risaliti per la via normale ed erano scesi da trionfatori l’indomani.
Risolvere un caso alpinistico può richiedere anni. Lo dimostra la storia di Walter Bonatti, che ha iniziato ad accusare Achille Compagnoni e Lino Lacedelli di averlo abbandonato sul K2 (e il capospedizione Ardito Desio di avere “coperto” i colpevoli) alla fine della spedizione del 1954, e ha ottenuto le scuse ufficiali solo cinquant’anni dopo. Nel 1970 la reazione di Maestri alle accuse è furiosa.
Maestri: la mia resta un’impresa
Cesare Maestri non ha mai voluto dissolvere la nebbia che circonda la sua impresa del 1959. Ha sempre risposto con sarcasmo a quelli che mettevano in dubbio la sua ascesa fino alla cima: “Che vadano lassù a cercare le prove del mio successo”. Ma dopo le accuse di Ermanno Salvaterra, prima cortesemente, poi in un impeto d’ira si è lasciato scappare: “Ce l’ho fatta. Ma questo non vuol dire che sono arrivato fino in cima”.
Che cosa risponde a Ermanno Salvaterra?
“Non gli ho fatto causa solo per non ferire l’alpinismo. Io chiedo solo che mi si creda. Mi batto per una questione di principio. Se mettono in dubbio la mia scalata, io metto in dubbio tutto l’alpinismo. Perché solo io? Posso mettere in dubbio tutte le imprese di Messner, tutte le solitarie. Chi mi dice che è arrivato in cima all’Everest?”
Messner ha fatto delle foto…
“Ma me ne frego. Le foto si inventano…” .
Dunque lei è arrivato in cima al Cerro Torre nel 1959?
“Non ho mai raccontato bugie. Ma non voglio dire niente. Tutti sanno che sono un uomo sincero, leale che non ha mai cercato di rovinare la reputazione di qualcuno per una prima pagina sui giornali. Sono stato il primo perché ero l’alpinista più forte al mondo”.
Perché le tracce della sua scalata si fermano a 300 metri dalla vetta?
“Non devo nessuna spiegazione. Ho compiuto la più grande impresa al mondo, ma questo non vuol dire che io sia arrivato sulla vetta”.
Cioè!
Non so spiegarmi. Voglio solo dire che se contestano la mia scalata, contestano tutto. Mi hanno rovinato la vita”. Charlie Buffet Ó Le Monde
Per rispondere ai dubbi l’alpinista torna sul Torre affrontando d’inverno la compatta parete Sud-Est, con un compressore per piantare i chiodi a pressione. Al secondo tentativo, scrive Maestri, il capocordata abbraccia Carlo Klaus, Ezio Alimonta, Claudio Baldessarri e Daniele Angeli sulla vetta. Quando i cinque scendono lasciano in parete il compressore come prova.
Stavolta, però, i dubbi arrivano subito. Gli americani Jim Bridwell e Steve Brewer ripetono la via del 1970, scoprono che i chiodi si fermano prima del ghiaccio della cima, mettono in dubbio anche la seconda ascensione. Quando nel 1974 arrivano in vetta i lecchesi, Mountain titola Cerro Torre climbed, “il Cerro Torre è stato salito”. Per la prima volta, ovviamente.
Poi le prove si accumulano. Nel 1976 John Bragg, Jim Donini e Jay Wilson ripercorrono la prima parte della via di Maestri e Egger: le tracce di passaggio si interrompono a trecento metri dalla base, oltre quel punto la descrizione del 1959 è tutta un errore. Più in alto Maestri ha scritto di un pendio di ghiaccio con pendenze “di circa 45-50 gradi”.
Chi passa successivamente da lì riferisce di una parete verticale di alta difficoltà. Gli inglesi Phil Burke e Tom Proctor (1981) scrivono di “passaggi estremi su roccia e ghiaccio tra i 70 gradi e lo strapiombante”. Quando gli italiani Elio Orlandi e Maurizio Giarolli (1998) e gli austriaci Toni Ponholzer e Franz Steiger (1999) salgono a sinistra dello spigolo non trovano chiodi o altre tracce di passaggio. Nel 2002 Reinhold Messner inaugura a Solda il suo Museo delle Curiosità Alpine, dedicato alla “differenza tra ciò che gli alpinisti fanno e ciò che dicono”. Una delle menzogne in vetrina è proprio la salita del Cerro Torre.
L’atto di accusa più completo, però, nell’edizione 2004 dell’American Alpine Journal. L’alpinista argentino Rolando Garibotti dimostra con citazioni e interviste che il racconto di Maestri non regge, che la descrizione della via è sbagliata, che nessuno dei ripetitori ha incontrato chiodi o corde lasciati da Maestri e da Egger oltre i trecento metri dalla base. Qui un anello di corda spezzato sembra indicare il luogo dove la valanga ha ucciso Toni Egger, il cui corpo è stato ritrovato nel 1975 sul ghiacciaio.
“Le descrizioni di Maestri non si adattano al terreno. Le prove mi convincono che Daniele Chiappa, Mario Conti, Casimiro Ferrari e Pino Negri sono stati i primi a salire il Torre”, conclude Garibotti. I Ragni rispondono con straordinaria eleganza. “Aver salito la Ovest ci basta, rispettiamo il curriculum di Maestri e la tragica fine di Toni Egger”, spiega Chiappa.
La prova sul terreno arriva nel novembre 2005, quando Garibotti, con gli italiani Ermanno Salvaterra (grande esperto del Torre, con varie vie nuove e la prima invernale al suo attivo) e Alessandro Beltrami, percorre per 37 tiri di corda la presunta via del 1959. “Non abbiamo trovato nemmeno i 60 chiodi a pressione che Maestri ha scritto di aver piantato. Il terreno non ha nulla a che fare con la sua descrizione. Il caso è chiuso”, racconta Garibotti al ritorno.
“Speravo di trovare almeno un chiodo, per sbatterlo in faccia al mondo e a me stesso. Invece mi sono convinto del falso”, commenta Ermanno Salvaterra, guida delle Dolomiti di Brenta e residente a Pinzolo, a pochi tornanti da Madonna di Campiglio di cui Maestri è un’icona.
Nel mondo spesso provinciale dell’alpinismo italiano le accuse dell’American Alpine Journal e di Mountain non hanno mai fatto breccia, provocando semmai reazioni campaniliste e seccate. Ma proprio per questo motivo l’ammissione di Salvaterra fa male. Sono le sue dichiarazioni a far venire alla luce il dubbio, per la prima volta sulla stampa locale e sui periodici del Club Alpino Italiano.
Nelle ultime settimane la discussione diventa sempre più accesa. Duri articoli appaiono su testate autorevoli e solitamente compassate come National Geographic e le Monde (“Maestri si rimprovera per non aver impedito la morte dell’amico. Non sa rompere l’uovo della sua menzogna”, scrive Charlie Buffet sul quotidiano parigino).
Chi cerca un’inchiesta approfondita può trovarla in un libro di prossima pubblicazione (L’enigma del Cerro Torre di Giorgio Spreafico, CDA&Vivalda editori) che comprende le interviste a tutti gli attori del dramma.
“Il Torre mi ha sempre fatto sognare, ho riempito 350 pagine intervistando gli alpinisti che conoscono la montagna”, spiega l’autore, caporedattore de La Provincia di Lecco. “Credevo di lavorare per la storia, mi ritrovo ad aver scritto un instant-book che esce quando l’argomento è sulla cresta dell’onda. Questa storia è il più bel giallo della storia dell’alpinismo. Le mie conclusioni? Chi vuole può trovarle nel libro”.
Chi non parla, o parla male, è Maestri. Qualche mese fa, a chi scrive, ammette di non essere salito in vetta nel 1970 ma si rifiuta di commentare l’ascensione del 1959, per concludere:”Vorrei che il Cerro Torre si riducesse a un cumulo di macerie, ha distrutto la mia vita”. In altre interviste se la prende con “i Torquemada imbecilli” che discutono la sua salita del 1959, e lancia improbabili minacce di “mettere sotto accusa tutte le solitarie di Messner”.
Eppure è solo Maestri a poter scrivere la parola fine di questa vicenda. A settantasei anni, di fronte a prove schiaccianti, con la voglia di onorare un amico per spiegare (e magari non giustificare) una menzogna di gioventù, ammettere di non aver detto il vero sarebbe un atto grande e saggio. Non tutti saprebbero farlo. Però Maestri ha visto la morte in faccia molte volte, è salito e sceso da solo da pareti tremende, ha salvato a mani nude la vita di amici precipitati nel vuoto. Da un uomo così aspettarsi un atto di grandezza è lecito. Lo farà?