In difesa del Credito Cooperativo
In difesa del Credito Cooperativo
L’articolo del prof. Michele Andreaus sull’Adige del 15 dicembre scorso in merito al futuro del Credito Cooperativo lascia stupiti e contrariati. Stupiti perché un attento studioso come lui cade nella banalizzazione del socio "incapace di leggere un bilancio", che partecipa alle assemblee solo per avere "lo speck" o il regalo di turno, contrariati perché nega nel fondamento la preziosa funzione territoriale del Credito Cooperativo soprattutto in un periodo nel quale i problemi sono appunto venuti dalla grande finanza che dopo aver causato la crisi oggi sta ripetendo gli stessi errori.
Non che alcune questioni sollevate dal professore siano prive di fondamento, come una maggior consapevolezza del socio nello scegliere gli amministratori e nel partecipare attivamente alla vita e alle scelte della propria Cassa Rurale; ma la questione di fondo è come uscire da questo momento difficile che vede in difficoltà anche alcune Banche di Credito Cooperativo soprattutto nel vicino Veneto dove la logica delle megafusioni e dei prestiti azzardati ha snaturato la natura delle Casse. Ci sono due strade: una è quella portata avanti dal Governo in linea con i poteri forti europei che consiste nell’accentrare tutto a Roma trasformando la cooperazione in Società per Azioni e aprendo la porta agli "investitori esteri" che certo non verranno per risanare i bilanci ma per portarsi a casa la governance e gli utili del sistema.
Il modello auspicato dal presidente del consiglio Renzi, che dimostra qualche superficialità di giudizio e scarsa conoscenza della storia, è quella del Credi Agricol francese che certo non è più una cooperativa locale ma una multinazionale della finanza. (Tra l’altro in Francia esistono anche un’ottima Banca Cooperativa e il Credit Mutuel che funzionano egregiamente con logiche mutualistiche legate al territorio e all’economia sociale).
L’altra è quella di difendere la democrazia (una testa un voto), l’indivisibilità dei patrimoni per le future generazioni e l’autonomia delle Casse in una ottica dove il sistema si autoregola e può intervenire non solo per risanare a posteriori le perdite ma anche per prevenire certe scelte in contrasto con la territorialità che non è una limitazione ma un punto di forza. Contrariamente a quello che sostiene il prof Andreaus la territorialità significa conoscere le famiglie e le imprese, basarsi sulla fiducia che è alla base di una sana economia prima delle regole di Bruxelles, sulla revisione della Federazione che, fin dai tempi di don Guetti, ha permesso al sistema di reggere anche nei momenti di crisi. Certi guai sono venuti proprio dal voler espandersi ad ogni costo anche al di fuori della propria zona di competenza (che può essere una valle e non solo un paese) copiando le logiche della finanza speculativa. Montarsi la testa e imitare i "grandi" gruppi bancari, spingere troppo sulla logica dei numeri sia nella raccolta che negli impieghi invece di guardare alla qualità ha spesso portato a disastri che non derivano certo dalle piccole dimensioni ma caso mai dalle troppo "grandi", almeno nella testa. Oltre cento vent’anni or sono don Lorenzo Guetti dava notizia della fondazione della Cassa Rurale di Quadra (tuttora attiva se pur inserita in un contesto territoriale più ampio) scrivendo: " Nasce modesta e senza pretese, ma sembra animata a fare sul serio quello che farà…" e la scintilla del Credito Cooperativo si diffuse rapidamente in tutto il Trentino diventando ben presto sistema con i dovuti controlli che hanno assicurato il servizio alle popolazioni locali passando attraverso periodi molto più difficili di quelli odierni.
Se il sistema del Credito Cooperativo di matrice Raiffeisen è diventato "grande"in ogni paese d’Europa e oggi rappresenta in Italia il primo gruppo con solo capitale italiano e il terzo in assoluto, con 370 Banche di Credito Cooperativo presenti in ben 2700 Comuni, con propri Fondi di Garanzia senza aiuti pubblici, con un CET indice di solidità superiore, lo si deve certo al fatto che nella storia ha conservato la sua radice territoriale facendo però "sul serio" quello che fa.
Ultimo aspetto, da non trascurare, è quello della "libertà di impresa" che è sancito dalla Costituzione. Nessun Governo può imporre a milioni di soci un tipo di impresa o di raggruppamento dall’alto. Lo fece solo il fascismo. Se le Casse vogliono raggrupparsi in due o tre gruppi bancari devono essere libere di scegliere. Altrimenti è bene ricorrere alla Corte Costituzionale e aprire un conflitto col Governo che possa mobilitare i soci come già fu al tempo della nazionalizzazione dei Consorzi elettrici cooperativi che furono obbligati a scomparire in nome della centralizzazione energetica che ha lasciato solo le briciole ai territori e non ha certo salvaguardato l’Autonomia delle Comunità locali che non è solo quella scritta negli Statuti o affidata alla politica ma quella materiale e culturale che vanta secoli di buona esistenza.
Trento 15 dic 2015
Luciano Imperadori – studioso di cooperazione