Pinzolo: Lettera di Giuseppe Ciaghi

di Giuseppe Ciaghi

Pinzolo: Lettera di Giuseppe Ciaghi

Pineta di Pinzolo (foto De Maio Agostino)

Esco di casa e sulla strada incontro Mariapia che torna da Carisolo. Stenta a trattenere le lacrime. E’ angosciata, in preda a una forte emozione/commozione. “Hanno tagliato gli alberi!”. Non mi occorre tanto a capire. Quel pugno di abeti che si era salvato dalla distruzione della Pineta (uno strazio, una ferita ancora aperta che ci ha fatto tanto male e che rinnova il dolore ogni volta che ci pensiamo), quelle tre magnifiche piante che sembrava potessero salvarsi da Attila perché ai margini dello scempio perpetrato alcuni anni fa, erano per terra, abbattute: una ferita allo spirito e all’anima prima ancora che all’ambiente. Sotto la loro ombra Mariapia aveva condotto i suoi bambini da piccoli a respirare l’aria buona, e più tardi i nipotini a giocare a palla e ad arrampicarsi su quei due sassi in granito a fianco della panchina in legno ai loro piedi mentre lo scoiattolo curioso si soffermava a osservarli dall’alto, seminascosto a metà tronco. A quegli alberi aveva dato il nome suo e dei suoi piccoli, come fossero persone vive, della famiglia. Non ci sono più. E con loro è scomparso un mondo, una parte di noi stessi, un brandello, importante, della nostra vita, una lacerazione profonda, che ci accompagnerà per i pochi anni che ci rimangono da vivere. Insieme a tanta amarezza. Soprattutto perché ci sembra impossibile che si sia potuti arrivare a tanto sfacelo senza una ragione corretta, logica, razionale capace di giustificarlo. Il recente intervento ha fatto ricredere molti, (non noi che l’abbiamo sempre combattuto proponendo alternative quali un trenino, una monorotaia che collegasse la valle a Madonna di Campiglio a vantaggio di tutti, in primis degli operai) sulla tanto sbandierata necessità di realizzare la circonvallazione di Pinzolo su un percorso che ne sta distruggendo la parte più caratteristica, quella che per il suo pregio naturalistico era riuscita a salvarsi dalla speculazione edilizia e dagli inquinamenti di vario tipo (gassoso, acustico, antropico). Ben altro senso e altro impatto avrebbe avuto bypassare Pinzolo con una galleria dentro la montagna di levante, come avanzato in origine. A che pro sacrificare un bene così rilevante? Quali i vantaggi? E a chi giova? Sono in tanti a chiederselo. Ma chi l’ha voluta così? Qualcuno di sicuro l’avrà voluta, per motivi suoi. Non ci si venga a dire che è stata la gente. E’ valsa davvero la pena spendere una montagna di euro, euro a milioni, per ridurre il traffico automobilistico che attraversa il centro del paese e per ridurre le code, che si verificano una decina di giorni all’anno in tutto, e che andando avanti saranno sempre di meno? E’ valsa la pena far sparire la Pineta e ridurla a un cantiere permanente che minimo minimo durerà tre anni, e impedire addirittura il passaggio della passerella che consentiva di attraversare la Sarca e andare a respirare sui prati che la gente di Caderzone ha avuto il buon senso e la lungimiranza di preservarsi? Per non parlare del progetto e della sua insipienza: una rotonda dalla strada statale all’imbocco di Pinzolo scende fino oltre il depuratore prima di imboccare un tunnel che in fregio al fiume porterà le automobili fino alla stalla Maffei. Di qui su un ponte attraverseranno la Sarca per riprendere la statale all’altezza del deposito materiali, proprio dove cominciano i crozi. Ebbene il tratto di strada che corre sotto i crozi è da sempre il più pericoloso di tutta l’arteria stradale per i continui smottamenti e le cadute di sassi e di massi che vi capitano a ogni disgelo, un problema cui sembra impossibile, almeno stando alle dichiarazioni di chi la sta gestendo, porre rimedio data la morfologia della montagna. In considerazione dello spessore dell’intervento e della profusione di danaro pubblico, cosa ci sarebbe voluto far uscire la circonvallazione sulla strada statale dopo il tratto pericoloso, in prossimità del ponte canale, alla curva delle betulle, eliminando una volta per sempre tanti pericoli? Potrebbero far ancora a tempo a rimediare. Un vecchio adagio recita: Sapienis est mutare sententiam, è proprio della persona saggia ravvedersi, cambiare convinzioni e pregiudizi. La mia speranza per ora è che quel boschetto di abeti e di larici che ancora sopravvive tra i ponti di San Rocco e di San Nicolò non faccia la fine di quelli già abbattuti.

Giuseppe Ciaghi