Dario Polli si confessa in un libro autobiografico
Il “perché” si senta bisogno di scrivere un libro si capisce, normalmente, solo dopo che se ne ha completato la stesura. Questo manoscritto è frutto di un lavoro di “verità”, scritto come una sorta di “terapia” del tutto personale piuttosto che per rendere pubblico determinati miei pensieri. Infatti se prima di scriverlo avevo l’esigenza di raccontare come veramente sono andati determinati fatti; ora sono molto sereno e francamente questa esperienza mi ha regalato una certa libertà interiore di sentirmi prosciolto dal giudizio della gente
Mi sono chiesto perché scrivere un libro?
Un bilancio? Una pausa di riflessione sulla propria vita? Il bisogno di comunicare (a volte gridare) la propria verità? Semplicemente credo, si è trattato di un processo terapeutico: ho scritto per tirar fuori qualcosa di profondo da me stesso e per vedere come, poco alla volta, le righe che riempiono quelle tante pagine vuote siano come unguento che lenisce antiche ferite e (forse) le risana.
Scrivere per me è stato rivivere il triste momento in cui mio padre a Chicago mi disse: “Si torna in Italia!”, e io ero perplesso …… riesumare la vicenda di truffa in cui sono stato coinvolto e le pagine di inchiostro che ci hanno sguazzato, infangando il mio nome davanti a molti … e, infine, calcolare il numero dei pochi amici rimasti dopo tale vicenda.
Questo manoscritto è, come detto, frutto di un lavoro di verità, analisi metodica nelle ragioni fondamentali e accessorie di un percorso esistenziale sfortunato e al contempo irripetibile che sentivo il bisogno di restituire in maniera ordinata, sincera. E non intendo soltanto palesare pensieri privati, sfogare sentimenti inespressi o frustrazioni mal digerite. Ho cominciato infatti a scrivere spinto dall’esigenza di raccontare in che modo si fossero davvero svolti i fatti, le mie disavventure, ma procedendo nella stesura ho scoperto il puro piacere di descrivere, sviscerare ….e chiusa l’ultima cartella confesso di essermi sentito più sereno, leggero.
La tragicomica esperienza di cui sono stato protagonista mi ha in definitiva regalato nuova consapevolezza e libertà interiore prosciogliendomi dal giudizio della gente, di chiunque, dall’inutile e gravoso pudore sociale che tanto spesso tormenta, opprime, la vita.
Il titolo mi è venuto scherzando proprio sul fatto che, in qualche modo, ha segnato e cambiato la mia vita recente: “Sono stato nominato!” gioca, infatti, sulle parole che vengono ripetute all’interno della casa in cui si rinchiudono i partecipanti di questo noto format televisivo , a cui, per un certo periodo di tempo, avevo progettato di partecipare per dare visibilità alla mia valle.
Tema di grande attualità con riferimenti alla giustizia, amicizia, politica, truffa.
Nuovamente a tempo pieno tra le montagne , impegnato nel mio lavoro di ristorazione, accompagno i miei figli nella loro crescita e accolgo con lo stesso entusiasmo coloro che decidono di trascorrere un po’ di tempo e soggiornare nel verde della Val Rendena. . non senza, ogni tanto, pensare a cosa sarebbe successo se avessi deciso di rimanere o tornare negli States.
Prefazione Sono Stato Nominato di Dario Polli
Chi scrive possiede una personale fonte d’ispirazione ove attingere e porre le parole sulla carta. Ma pochi ammettono il prezioso contributo del vissuto, esperienze o influenza della propria personalità dietro la psicologia di un personaggio. Mentre Sono Stato Nominato è intriso di amara verità personale dalla prima all’ultima riga. Una storia, di Dario Polli, che colpisce e indigna per l’assurdità della sorte. Destino che potrebbe toccare a chiunque. Davvero a tutti. Ecco la vittima di un sistema ove sono spesso gli innocenti a pagare. Una giustizia sempre meno equa ma appesantita, svogliata, spersonalizzata, addirittura disumana. Accusato ingiustamente, il protagonista non ha dunque alternative se non piegare il capo, accantonare l’orgoglio, per non restare invischiato in procedimenti da tempi biblici, macchinosi e facinorosi. Un meccanismo giudiziario, quello italiano, criticato aspramente per l’esasperante burocrazia. L’interminabile attesa per un’udienza, l’estenuante iter necessario a sentenza difficilmente definitiva, spesso ribaltata in Appello. Ma il vero paradosso è che la pena reale inizia usciti dal carcere… Luogo che dovrebbe servire a riabilitare e reintrodurre in società chi ha sbagliato dopo aver scontato. Nossignori! Lascia un marchio indelebile, da reietto, ed è quasi impossibile liberarsene. Innocente o colpevole non ha importanza. Pare essere tornati ai tempi del puritanesimo, violato il codice morale si è automaticamente emarginati, bollati come cattivo esempio, spesso esiliati. Ebbene, a distanza di quasi quattrocento anni il trattamento riservato a Hester è il medesimo. Protagonista de La Lettera Scarlatta di Nathaniel Hawthorne le viene appuntata sul petto una A rossa affinché tutti sappiano. Amici, colleghi, concittadini si compattano infatti spesso per isolare, denigrare, coadiuvati e influenzati anche da una stampa indirettamente imparziale. Incapaci di perdono sono proprio coloro che orbitano nei momenti di gloria godendo come parassiti dei frutti della fatica per sparire e gioire davanti alla rovinosa caduta. Comunque, la scrittura fluida di tale testo e l’agile narrazione facilitano l’identificazione col protagonista, le sue disgrazie, ma anche emozioni e ricordi. Al punto da perdere la cognizione del tempo e rendere quasi impossibile interrompere la lettura. Non resta che chiudere gli occhi e ascoltare il vento chiamare il nostro nome nella sua casa, grotta tra i picchi e le vette dove tutto ha inizio e perdersi nella maestosità del paesaggio dolomitico, cornice di questa veritiera confessione.