Massimeno: Il San Martino di Renato Amech
San Martino, vescovo di Tours, è uno dei santi più popolari della cristianità, venerato ovunque: modello di carità cristiana. In alta Rendena gode di un affetto e di un culto particolari. Forse retaggio della presenza longobarda e franca in queste terre. Era famoso come “apostolo delle Gallie”
Sulle orme del padre, un valoroso ufficiale dell’esercito romano, aveva abbracciato la carriera militare. Rivestiva il grado di circitor (ispettore) quando, uscito nel cuore di una fredda notte d’inverno a controllare i posti di guardia dell’accampamento, s’imbatté in un pover’uomo seminudo. Non avendo denari con sé, impugnò la spada, tagliò in due la propria clamide e gliene donò la metà. La notte seguente vede in sogno Cristo rivestito con un pezzo del suo mantello militare. Lasciato l’esercito, diverrà vescovo di Tours. Sarà uno delle prime personalità della Chiesa a diventare “santo” senza aver subito il martirio (nei primi secoli dell’era cristiana venivano santificati solo i martiri), col titolo di “confessore”.
A lui è dedicato un eremo, situato a nido d’aquila su una cengia della montagna che incombe sopra l’abitato di Carisolo all’imbocco di Val Genova. E’ molto antico. Di esso si trovano testimonianze scritte fin dal 1300. Tutti gli anni a novembre la comunità valligiana vi sale in pellegrinaggio lungo il ripido sentiero. E nel ritorno si ferma alla Prisa, a gustare un pugno di caldarroste preparate dalla Pro loco.
A Mantova, vicino a Porto catena, nella chiesa di via Pomponazzo dedicata al vescovo di Tours, si trova l’altare dei rendenesi. Risale al 1600, testimonianza dell’emigrazione dei segantini in quella città. L’11 novembre di ogni anno vi si celebra messa davanti ad una folta schiera di fedeli calata in pullman dalla Rendena al seguito delle proprie autorità, con alpini, schũtzen in divisa e tanto altro. Come mercoledì appunto..
A “Martinus Langobardorum et Francorum protector”di recente è stato dedicato un murale sulla facciata che guarda a sera di villa Perversi a Massimeno. La bella giornata che per tradizione accompagna la festività del santo, e che mai si smentisce, ha suggerito a molti una passeggiata fin nei pressi dell’edificio – un percorso per altro molto comodo con panorama sulla valle e stupenda vista sui ghiacciai dell’Adamello e della Presanella proprio dirimpetto – ad ammirare la pittura e a rendere omaggio al patrono dei nostri antenati.
E’ un piccolo capolavoro nel suo genere e merita due parole. Originale nella composizione, rivela uno studio accurato dell’iconografia di san Martino a partire dal XII secolo in avanti. Riassume i caratteri fondamentali della sua vita, armonizza gli aspetti più significativi del culto e delle leggende arrivate fino noi e fa rivivere elementi di sapore antico in un contesto moderno, con un tratto vigoroso ed incisivo, privo di compiacimento, che giunge all’essenziale. Da lontano colpisce il colore, lo sfondo azzurro intenso in cui si staglia la figura del soldato a cavallo nell’atto di tagliare il mantello e offrirlo al mendico ignudo. Vi si respira l’atmosfera di una splendida giornata autunnale (l’estate di san Martino), rischiarata da un quarto di sole in alto a destra: un ambiente che colloca i personaggi fuori dal tempo e dallo spazio, ipostatizzandoli alla maniera bizantina, e ne rende eterno il messaggio. Accostandoci ad esso, ci si accorge però che la tinta non è tutta uguale. In basso una striscia più chiara, celeste – rappresenta una cinta di mura merlate a difesa di un borgo medievale – la divide in altezza e la spezza in due, dando profondità al luogo su cui posano i personaggi. Dal cielo, dall’eternità che incornicia i loro busti, si torna coi piedi sulla terra, all’interno delle tre dimensioni, in un’atmosfera più umana…: la testa del cavallo parla da sola, con gli occhi. Nelle figure di Amech riecheggiano, almeno per quanto riguarda il povero zoppo e il destriero, le miniature di Guillaume Vrelant (XV secolo) che impreziosiscono il Breviario di Filippo il Buono, mentre il viso scarno del santo richiama i primi ritratti del vescovo di Tours, risalenti al XII secolo. Ma la sua interpretazione dell’episodio, celebrato da artisti di ogni stagione e di tutta Europa, appare così fresca ed immediata, così attuale e piena di forza nella sua semplicità, da trasmettere piacere, messaggi positivi in chi sofferma ad osservarla e a gustarla. Massimeno si è arricchita di una nuova pregevole opera d’arte.